mercoledì 29 maggio 2024

Sotto i miei piedi!

Il mio nome. Che suono aveva, il mio nome, quando lei lo pronunciava? Quale senso assumeva attraverso il tono della sua voce, nell'autorevolezza e nella grazia del suo sguardo fiero e maestoso che mi sovrastava? Era meraviglioso, sublime, il modo in cui lei mi chiamava, semplicemente usando il mio nome, facendo sì che mi apparisse come se non fosse mai stato pronunciato prima di allora, come se fosse stata lei, a scegliere e impormi quel nome. Più di qualsiasi altro possibile appellativo, il mio nome, diventava il simbolo della mia appartenenza, svelava la condizione in cui versavo al suo cospetto, l'euforia e lo sgomento di quella dolce prigionia con cui incatenava i miei sensi. Il mio nome, quando lei lo pronunciava, mi faceva sentire come un cane ansioso di accorrere e accucciarsi ai piedi della propria Padrona. Era questo il modo in cui mi sentivo e amavo sentire il suo sguardo su di me, l'espressione compiaciuta e trionfante con cui mi osservava, seguendo i moti del mio animo e cogliendo l'umiltà con cui chinavo il capo e la riverivo.